Gli alberi, che ci danno la Vita insieme a tutto quel sistema brulicante di micelio e a tutti gli esseri che, se scomparissero, determinerebbero la nostra fine come specie, sono spesso commestibili.
Numerose sono le specie che possiamo utilizzare applicando la botanica alla cucina.
Ciò che mi ha sempre affascinato, da linguista, è la connessione intima e indissolubile tra gli alberi e il linguaggio, un legame tanto stretto quanto strabiliante.
Infatti, quello che oggi in inglese è book, "libro", in antico inglese era bōc, dal proto-germanico *bōk(ō)-, da *bokiz "faggio" (fonte anche del tedesco moderno Buch "libro" e Buche "faggio"), perché sulle tavolette di legno di faggio erano incise le rune, che erano però incise anche sull'albero stesso, cosa che viene ancor oggi fatta in area germanica con le iniziali.
Il faggio (Fagus sylvatica), in questo periodo, ha le prime gemme, che possiamo raccogliere e consumare crude in insalata, unirle a insalate e misticanze, scottarle appena con un po' di burro (anche vegetale) e aromi a scelta, o cuocere brevemente in latte di mandorla per una zuppa corroborante.
Possiamo brinarle e mangiarle come caramelline, ricoprirle di cioccolato per una delizia golosa.
La parola in antico inglese, in origine, indicava qualunque documento scritto.
Anche il latino e il sanscrito hanno parole per indicare la scrittura, e entrambe sono rappresentate da alberi, rispettivamente "betulla" e "frassino". E, meraviglia, l’italiano libro deriva dal latino librum che, in origine, era la corteccia interna degli alberi (che ancor oggi, in italiano, è omonima).
Il senso in antico inglese gradualmente si restrinse, diventando in inglese medio indicativo di “un’opera scritta su molte pagine, unite insieme e rilegate”, e anche “composizione letteraria” in qualunque forma, persino in molti volumi.
Lo stupore emerge anche se si pensa che, prima dell’avvento della produzione di massa della carta, si utilizzava lo strato interno della corteccia di betulla, in inglese birch, in antico inglese berc, beorc (che era anche il nome della runa per “b”), dal proto-germanico *berkjon (fonte anche dell’antico sassone birka, norreno börk, danese birk, svedese e islandese björk, olandese medio berke, olandese moderno berk, antico alto tedesco birihha, tedesco moderno Birke), dal proto-indoeuropeo *bhergo (fonte anche della lingua dell’Ossezia barz, antico slavo ecclesiastico breza, russo moderno bereza, lituano beržas, sanscrito bhurjah, tutti nomi di alberi simili alla betulla, come il latino fraxinus “frassino”), dalla radice *bhereg- “brillare, scintillare; bianco” con riferimento alla corteccia luminosa.
Da questa corteccia si preparava persino la birra, ma in realtà essa era servita in prima istanza come base per la scrittura in molte culture.
I più antichi manoscritti di corteccia di betulla datati sono numerosi testi buddisti gandhāran risalenti all'incirca al I secolo, che si ritiene siano stati creati in Afghanistan, probabilmente dalla setta Dharmaguptaka. Le traduzioni dei testi, principalmente in Kharoṣṭhī, hanno prodotto le prime versioni conosciute di significative scritture buddiste, tra cui un Dhammapada, discorsi di Buddha che includono i testi del Sutra del Rinoceronte, degli Avadana e dell'Abhidharma.
I manoscritti sanscriti di corteccia di betulla scritti con caratteri Brahmi sono stati datati ai primi secoli d.C..
Diversi primi scrittori sanscriti, come Kālidāsa (c. 4° secolo), Sushruta (c. 3° secolo) e Varāhamihira (6° secolo) menzionano l'uso della corteccia di betulla per i manoscritti. La corteccia di Betula utilis (betulla himalayana) è usata ancora oggi in India e Nepal per scrivere mantra sacri.
I testi russi scoperti a Veliky Novgorod sono stati datati approssimativamente dal 9° al 15° secolo. La maggior parte di questi documenti sono lettere scritte da varie persone nel dialetto dell'antica Novgorod.
Il sistema di scrittura nativo della lingua irlandese Ogham, a volte chiamato "alfabeto dell'albero", è stato allegoricamente inventato da Ogma che scrisse un divieto sulla betulla a Lugh, avvertendolo; il testo di questa proscrizione può essere trovato nel Libro di Ballymote. La prima lettera di Ogham è beith; beithe significa “betulla".
La parte interna della corteccia della betulla è un dolcificante, ma della betulla si possono raccogliere gemme e foglie per essere portate in tavola con tutta la loro freschezza e il loro sentore erbaceo. Questo è anche il periodo di raccolta della sua preziosa linfa.
Naturalmente, la raccolta ancor più in tal senso deve essere consapevole e attenta, poiché si rischia di uccidere la pianta.
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