Oggi ho ricevuto alcune foto per l’identificazione di una specie, e condivido con Voi una scheda approfondita su Ceratonia siliqua, il carrubo, una delle specie di maggior utilità nella storia dell’uomo.
Il suo frutto è un legume particolare: quando è secco e indeiscente (che non si apre) si chiama lomento, in questo caso specifico si tratta di una siliqua, e infatti il binomiale della specie lo indica.
Il nome del genere deriva dal greco kéras “corno” e téino “io protendo”, quindi “corno proteso”, proprio con riferimento alla morfologia e alla consistenza del frutto.
I suoi particolari legumi, ricchi di amido, zuccheri e proteine, hanno sempre costituito per l’uomo una risorsa alimentare di gran pregio e per questo il carrubo era coltivato soprattutto lungo le coste, e oggi rappresenta un antico passato fito-storico, insieme alla quercia, al lentisco e al mirto.
Appartiene alle Fabaceae, è sempreverde, con foglie paripennate coriacee con nervatura centrale marcata. Ha fiori unisessuali su piante diverse, raramente sulla stessa pianta. Caratterizza la vegetazione della fascia più termofila e, ad esempio in Sardegna, si accompagna con l’euforbia arborea e il ginepro feniceo.
Il suo legno è duro e resistente, con venature rossicce, da sempre considerato molto pregiato e usato nell’arte sacra.
Con i suoi semi si componevano i rosari, soprattutto in Sardegna.
Il legume (poiché di questo si tratta!) è commestibile; il baccello è di color marrone lucido a maturità e i semi piccoli, lucidi, con tegumenti molto spessi, hanno peso e forma quasi costanti e per questo nell’antichità erano usati come unità di peso per le pietre preziose: erano chiamati karati, dall’arabo qīrāṭ, che ritroviamo oggi nell’unità di peso dell’oro, il carato (4/5 grammi).
La parola è entrata in italiano tramite il latino medioevale carratus, e prima tramite il greco keration “seme di carrubo”, da keras “corno di un animale”, dalla radice proto-indoeuropea *ker- “corno; testa”. Già in arabo qīrāṭ indicava sia il frutto del carrubo che “peso di quattro grani”.
Già in questo periodo (febbraio/marzo al più tardi, a seconda delle zone) si possono raccogliere i nuovi getti e usarli a mo’ di asparagi (previa sbianchitura o bollitura breve, per poi usarli in minestroni, misticanze, risotti, ripieni, frittate).
Le foglie si possono raccogliere tra aprile e maggio.
Sempre ora si può raccogliere la corteccia, con assoluta cautela per non rovinare o addirittura far morire la pianta. La corteccia andrà tagliata a pezzettini e fatta essiccare per bene per conservarla in contenitori in vetro a chiusura ermetica.
Dai semi si può ottenere “farina”, che è poco calorica ma proteica, quindi adatta a una dieta plant-based, e preparare numerose ricette golose.
Il carrubo è anche rinomato perché in agosto, nei suoi pressi, cresce quello che gli inglesi chiamano chicken of the woods, un fungo prelibato: si tratta di Lætiporus sulphureus, un fungo parassita facilmente riconoscibile per le colorazioni solforine tipiche che assume. Bisogna raccoglierlo solo da determinate piante, ad esempio va evitato quello che cresce sui pini perché tossico a causa della resina, e quello che cresce sull’eucalipto. Meglio raccogliere quelli che crescono su alberi da frutta o legno “morto”.
Bisogna poi evitare di bere alcolici quando si mangia e fare una prova di commestibilità per scongiurare reazioni allergiche; naturalmente va cotto.
Attenzione! In Puglia la Legge Regionale 04/06/2007 (art. 18) inserisce il carrubo tra le specie protette, quindi non va raccolto allo stato spontaneo.
In fitoterapia popolare per l’alto valore nutritivo si consigliava il consumo in caso di carenza di vitamine e stanchezza.
L’infuso e il decotto (di corteccia, foglie e baccelli) venivano usati per curare le malattie all’apparato respiratorio, in particolar modo i bronchi, e la diarrea.
L’infuso delle foglie era preparato dalle nonne per curare le infiammazioni di bocca e gola, e le afte.
L’acqua di cottura di qualunque parte della pianta si può usare per risciacquare i capelli dopo lo shampoo: esalta i riflessi sia dei capelli biondi che dei capelli rossi.
Dato l’alto contenuto in tannini, non bisogna usare pentole in ferro.
Decotto di castagne e carrube
Ingredienti: 150 g di frutti di carrubo, 50 g di buccia di castagne, 2 dl di acqua di fonte
Pestare i frutti di carrubo e la buccia delle castagne, macinare il tutto e far bollire per 5 minuti. Togliere dal fuoco e lasciar riposare per una decina di minuti, filtrare e dare ai bambini 8 cucchiaini al giorno per eliminare la diarrea.
Sciroppo emolliente
Il procedimento di questa ricetta me lo raccontava spesso mio nonno, raccontandomi di come un anno, quand’era piccolo, ad Alberobello nevicò talmente tanto che aprendo la porta di ingresso del trullo si trovò di fronte un muro di neve, e dovettero spalare appena svegli per poter uscire e andare a lavorare. In seguito, si beccò una bella congestione, e sua mamma, la mia bisnonna Lorita, gli preparò questo sciroppo che ogni brava contadina riusciva sempre a preparare perché aveva tutti gli ingredienti a disposizione, conservati in “soffitta”, nel cono del trullo, nei capasoni.
Ingredienti: 20 g di giuggiole, 20 g di fichi secchi, 20 g di uva essiccata, 20 g di baccelli di carrubo
Procedimento: mettere a macerare per 5/6 ore. Bollire e far spappolare il tutto. Aggiungere il medesimo peso di zucchero. Si prende a cucchiai.
Oggi, volendo, si possono aggiungere anche due o tre datteri, anche con il nocciolo, che andrà poi eliminato.
Decotto di foglie, germogli, baccelli: concentrato per gargarismi, afte e mucose della bocca con irritazioni (anche per far passare la sensazione di lingua scottata).
Cataplasma di foglie, anche secche, per calmare la pelle.
Si metteva acqua scaldata nel camino con una tinozza, in una “vasca di fortuna”, e si faceva il bagno dentro con due o tre cucchiai di polvere sia di baccelli che di semi, per sfiammare la pelle in caso di allergie o eritemi solari, o per il favismo.
Il carrubo è conosciuto anche come “pane di san Giovanni”, perché tradizione vuole che abbia fornito sempre cibo nel deserto.
Puoi preparare il pane di carrube, proteico e senza glutine, sostituendo alla farina di frumento quella di carrube. Se aggiungerai un dolcificante, o semplicemente dell’uva sultanina o altra frutta secca particolarmente dolce, avrai un ottimo pane per la colazione.
Se ti piacciono le creme spalmabili, puoi prepararne una deliziosa sostituendo al cioccolato la polvere di carrube.
Ti regalo la mia ricetta dei taralli alle carrube: ti servono solo 300 g di buon vino, magari mosso, 130 g di buon olio evo, 600 g di farina di carrube e 150 g di farina di frumento (serve per tenerli insieme, se no puoi usare un’alternativa per celiaci che sia senza glutine ma permetta all’impasto di “rimanere legato”). Sale a piacere, spezie a piacere (a me piace molto con le drupe di Schinus molle, il pepe rosa selvatico che spesso cresce sulle coste pugliesi proprio vicino il carrubo).
Impasta bene e quando avrai un impasto traslucido e malleabile, lascialo riposare una decina di minuti. Prepara i taralli e cuoci in forno già caldo a 170° C finché non sono cotti, per 20 minuti circa, facendo attenzione che non cuociano troppo. Se hai un forno ventilato potresti doverli tirar fuori già dopo 15 minuti.
Buona sperimentazione, buone raccolte e buon appetito!
P.S. trovi questa e altre ricette uniche e golose nella prossima uscita di i Skogen! a febbraio 2022. A presto!
Azienda Agricola Pikniq
di Filomena Valeria Eleonora Matarrese
Verbano-Cusio-Ossola
Italy
Telefono: (+39) 0332 1801155
Cellulare: (+39) 347 7523337
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