Nel 19° secolo divenne popolare, in particolare in East Anglia (ma anche in altre aree del Regno Unito) un rituale noto come Toad Bone Rite.
In origine basato su un’antica pratica magica dell’Europa meridionale documentata da Plinio, fu poi riportato nelle opere di Cornelio Agrippa e Reginald Scot.
Sebbene esistessero numerose varianti, il rituale principale consisteva nell’uccidere un rospo o una rana, facendo sì che la sua pelle fosse rimossa dalle formiche, lasciando le ossa pulite, gettando infine le ossa in un ruscello notte tempo.
Si credeva che tale rito garantisse, a chi praticava l’incantesimo – conosciuto come Toad Man – la capacità di mettere in atto determinate azioni di magia.
Toad Man sta per “uomo rospo”.
È interessante notare che il termine toad entrò a far parte della lingua inglese intorno al 1300, dall’anglosassone tadige, tadie, di origine incerta e, secondo l’Old English Dictionary, con nessuna parentela al di fuori dell’ambito inglese, quindi comunque in ambito specifico germanico. Il suo significato, oltre che “rospo”, è metaforico per “persona ripugnante”.
E, probabilmente, non è neanche un caso che Amanita muscaria, il fungo che attrae inesorabilmente ma “tossico” per eccellenza (in realtà solo psicoattivo ma non mortale), sia ancor oggi chiamato toadstool, “lo sgabello dei rospi”, ma anche lo “sgabello delle persone ripugnanti”, con probabile riferimento agli stregoni. Toadstool entrò poi come termine nella lingua inglese nel tardo 14° secolo.
Gli stessi rospi, naturalmente, erano considerati altamente velenosi, e questa parola – sempre secondo l’Old English Dictionary – era “ristretta, a livello popolare, a funghi velenosi o non commestibili, per differenziarli dai funghi edibili”.
Altri termini erano toad-cheese “un fungo velenoso” e toad’s meat, un termine “rustico” per toadstool.
Ancor oggi, spesso, i rospi sono raffigurati sul “fungo più bello”, e compaiono naturalmente nei giardini in questa posizione.
A lungo si è pensato che questo rapporto fosse inspiegabile. Di sicuro, l’impiego di Amanita muscaria per raggiungere la trance (sciamanica, stregonesca, magica) è antichissimo. Studi filologici linguistici fanno pensare che risalga almeno a 4000 anni prima di Cristo, quando ancora esisteva una lingua uralica comune. Il gruppo di parole che designa Amanita muscaria, i funghi in generale, la perdita di coscienza, il tamburo sciamanico, nelle lingue ugro-finniche e samoiede, derivererebbe da un’unica radice.
In antropologia si distinguono le culture micofile da quelle micofobe: probabilmente, i raccoglitori di funghi sono gli eredi di un antico retaggio sciamanico, in cui i funghi erano divinizzati.
L’uomo del Similaun, Ötzi, così come i bog bodies, portava funghi nella sua “sacca della medicina”. La muscaria, sulle Alpi, ancor oggi, è il fungo magico per eccellenza; appare nelle figure delle fiabe e anche nelle ricette delle pomate delle streghe, come quella che risale al 1737:
“Unguento verde delle streghe”: si mescolino i succhi di Atropa belladonna, giusquiamo, Amanita muscaria, aconito, datura, digitale, papavero e Conium con grasso; si spalmi l’unguento sul viso, sotto le ascelle, sulle mani. Volerete”.
Questa ricetta, del 18° secolo inoltrato, testimonia la permanenza sulle Alpi di pratiche antichissime, che molti studiosi considerano cancellate con l’Inquisizione e il Concilio di Trento.
È dimostrato che la conoscenza e l’uso degli stessi psicotropi, sulle montagne alpine, è andato avanti fino a poco tempo fa.
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p.s. Amanita muscaria è solo con il cappello rivestito di rosso. Esistono anche Amanita viridis, verde; Amanita pantherina, di colore bruno, marrone, scuro. Questi ultimi sono mortali. In ogni caso, non divellere i funghi tossici dal sottobosco, poiché sono collegati da un sistema di filamenti, chiamate ife, che consentono l’equilibrio degli ecosistemi. Grazie!
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di Filomena Valeria Eleonora Matarrese
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