La sequenza alu (ᚨᛚᚢ) si trova in numerose iscrizioni runiche in futhark antico dell’Età del Ferro scandinava (e, più raramente, nel primo periodo dell’Inghilterra anglosassone), tra il 3° e l’8° secolo. La parola appare, solitamente, sia da sola (come nella pietra runica di Elgesem) o come parte di una probabile formula magica (come quella sull'”amuleto” di Lindholm in Scania, Svezia).
I simboli rappresentano le rune Ansuz, Laguz e Uruz.
L’origine e il significato della parola sono stati spesso oggetto di discussione, ma gli studiosi in generale sono d’accordo che la parola rappresenti un esempio di magia runica storica o una metafora per essa.
Si tratta della prima parola e della più comune utilizzata negli incantesimi runici.
Tale parola scomparse dalle iscrizioni runiche poco tempo dopo il periodo “delle migrazioni” (le cosiddette invasioni barbariche, così chiamate solo in italiano), addirittura prima della cristianizzazione della Scandinavia. Può esser stata utilizzata ben oltre questo periodo, con una frequente e crescente associazione con la parola ale “birra”, in inglese moderno rimasta tale, come appare nelle stanze 7 e 19 del poema Sigrdrífumál (13° secolo), all’interno dell’Edda poetica, in cui la conoscenza delle evocative “rune ale” (in norreno õlrúnar) viene insegnata alla valchiria Sigrdrífa.
Alcune teorie hanno suggerito che lo hapax legomenon ealuscerwen fosse utilizzato per descrivere il dolore o il terrore nell’epico Beowulf, registrato tra il 9° e l’11° secolo, potrebbe essere direttamente correlato. Forse questo termine significa “versare alu”, ealu sta per ale e scerwen per “dividere; tagliare”, nel senso di “fare porzioni”; in anglosassone anche scerpen “diffusione; condivisione; donazione”, cfr. anglosassone be-scerwan; è un hapax legomenon nel Beowulf ma nella letteratura si trova anche medu-scerwen relativo a medu = mead, “idromele”.
Sebbene il significato letterario della parola alu sia generalmente accettato come ale “birra” nel senso di “bevanda inebriante”, i ricercatori hanno ritenuto necessario approfondire il significato del termine. Le prime etimologie proposte per il vocabolo richiedono una connessione con il proto-germanico *aluh- “amuleto; tabù” da *alh “proteggere”.
Altre parole correlate nei dialetti germanici includerebbero anglosassone ealh “tempio”, gotico alhs “tempio” e norreno alh “amuleto”.
Edgar Polomé inizialmente ha proposto una connessione etimologica tra germanico alu e ittita alwanza “colui che soffre per la stregoneria” che, a sua volta, è collegato a greco alúō “essere fuori di sé” e lituano aluôt “essere sconvolto”. Da allora è stato dimostrato che questa etimologia non è corretta ed è stata, di conseguenza, abbandonata da Polomé; sebbene continui a suggerire come un comune denominatore semantico leghi queste parole e alu.
Sono stati proposti collegamenti linguistici tra alu e proto-germanico *aluþ “birra”, e di conseguenza il termine è stato tradotto, a volte, con questo significato, sebbene questo approccio linguistico sia stato criticato e definito “con difficoltà cruciali”.
Polomé sostiene che il termine appartenga al “vocabolario tecnico delle attività lavorative” dei popoli germanici, e che in origine facesse riferimento a “uno stato mentale di estasi come quello dato da una bevanda potente” utilizzata nei rituali religiosi del paganesimo germanico.
Sono stati scoperti degli oggetti votici della Rhaetia nord-etrusca recanti iscrizioni in cui è presente alu, e in questi casi il termine significherebbe “qualcosa che è dedicato (a)”. Sono stati proposti dei collegamenti tra questi oggetti e il termine alu trovato nelle iscrizioni runiche. È stato proposto che il termine alu fosse preso in prestito da questa fonte per essere poi utilizzato in contesto runico.
Ale, con il significato di “liquore intossicante ottenuto dalla fermentazione del malto” è presente oggi in inglese moderno, dall’anglosassone ealu “birra”, dal proto-germanico *aluth- (fonte anche di antico sassone alo; norreno öl), di origine incerta. Forse deriva da una radice proto-indoeuropea che significa “amaro” (fonte anche del latino alumen “allume”) o dal proto-indoeuropeo *alu-t- “birra”, dalla radice *alu che ha connotazioni di “stregoneria, magia, possesso, intossicazione” (Watkins). La parola è stata presa in prestito dal germanico in lituano (alus) e in antico slavo ecclesiastico (olu).
Nel 15° secolo e fino al 17° secolo ale stava a indicare il liquore fermentato di malto senza luppolo che a lungo aveva costituito la bevanda natìa delle isole britanniche. Beer, al contrario, era il liquore maltato e luppolato che fu introdotto dai Paesi Bassi nel 15° secolo e popolare prima di tutto nelle città, mentre i contadini e la gente comune continuava a autoprodursi e bere ale.
Intorno al 18° secolo, comunque, tutto il “liquore maltato” era luppolato, e ci fu una mutazione silente nel significato dei due termini. Per un periodo i termini furono in realtà sinonimi, ma le abitudini di nomenclatura locale continuarono a perpetrare quella che era stata una differenza reale: beer era il liquore maltato che si trovava solitamente nelle città; ale era il termine in uso generale in ambito contadino, popolare, di autoproduzione.
La notizia che oggi voglio darVi è che tre urne anglosassoni sono state ritrovate vicino Norfolk, in un cimitero in uso fino al 6° secolo.
Sono inscritte con caratteri runici (futorc, ovviamente) e solo chi pensa che questi alfabeti fossero reali utili per crittografia può giungere prima degli archeologi, per il solo fatto di essere linguista filologo germanico che si cala nei panni di chi queste iscrizioni le ha intagliate, a capire che inizialmente non si trattava di urne ma di contenitori per bevande.
Tutte e tre queste urne ne sono un esempio: hanno un unico “stampino” di tre rune. Chi le conosce sa che i popoli germanici usavano le “rune specchio”, che si leggono al contrario, per una tra le prime rese crittografate.
E, leggendo da sinistra a destra, ecco che il timbrino ci dice che questi contenitori erano identificati per contenere prima e soprattutto ale, “birra”, che all’epoca era prodotta non con malto di orzo ma Erica e Artemisia.
E se, come sembra, nei funerali anglosassoni era molto coinvolto il bere bevande inebrianti, queste “urne” potevano esser servite piene per la cerimonia, e poi usate, una volta vuote, per raccogliere i resti della cremazione.
Non possiamo entrare nella testa di chi viveva più di 1500 anni fa, ma forse l’idea era che il contenitore ricordava la birra, e questo ricordo avrebbe nutrito l’anima defunta nell’aldilà (Valhöll o altro).
Peccato poi che non si sappia che questa è stata, in assoluto, la prima parola usata in un incantesimo che contiene caratteri runici. Sineddoche per la fermentazione, linea di confine tra la vita e l’ebbrezza, la morte e il ricordo.
ᚨᛚᚢ
p.s. anticamente, su molti corni che dovevano contenere la birra, veniva infine incisa la runa Naudhiz come protezione contro gli avvelenamenti…
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