Quercia

Quercus spp.

Quercus ilex o leccio, chiamata in dialetto in Puglia il'c, della famiglia delle Fagaceae.

Albero caratteristico della macchia mediterranea, le sue foglie sono coriacee, ovato-lanceolate, dentate, bianco tomentose sotto la lamina e verde scuro sulla pagina superiore.

Il frutto è una ghianda, si raccoglie dalla fine dell'estate all'inizio dell'autunno. Contiene tannini, amido, resine, quercitrina, gomma, zucchero, ossalato di calcio. Astringente, antidiarroica, antiemorroidale. Esternamente il decotto è impiegato per curare gli eczemi. Ha azione emostatica, antinfiammatoria del cavo orale e dell'apparato genito-urinario; diminuisce la sudorazione locale.

Le ghiande del leccio, in Puglia (e in generale in tutta l'area mediterranea), erano tostate e utilizzate come succedaneo del caffè.

Sul Gargano esistono numerose varietà di querce: il cerro, cerr (Quercus cerris), il cui decotto di corteccia curava le infiammazioni delle mucose e in tisana con i frutti del rovo (chiamati mericule) si usava come astringente; la roverella, streppone (Quercus pubescens), per il suo alto contenuto di tannino, presente anche nelle galle, era usata in decotto come antidoto per chi aveva assunto dosi eccessive di alcaloidi come la famosissima - ancor oggi! - papagna, ovvero la papaverina, o era vittima di fatture "ammortalate".

Da ricordare che il nome Ischitella - così come Ischia - deriva da una specie di quercia simile al leccio, l'ischio.

In latino rōbur (gen. rōboris), "quercia dura" e metaforicamente "forza". Una formazione standard con la radice s- in cui -s- è preservata prima della -t- ma si rotacizza tra vocali (cfr. honos, honoris, honestus).

La tradizione fa derivare rōbur dal protoindoeuropeo *h1reudh- "rosso", poiché si pensava che la parte interna, l'anima della quercia, fosse rossa. Altri filologi paragonano la variazione semantica da “quercia” a “forza” insita in rōbur con la stessa polisemia che sta alla base del germanico *trewwu- “leale, degno di fiducia” derivato da *trewa “albero” (cfr. inglese moderno tree).

Ma si tratta solo di un parallelo semantico? Uno sguardo più ravvicinato al protoindoeuropeo *doru/*drew- “albero, legno, quercia” (cfr. ittita ta:ru, sanscrito daru, greco δόρυ, etc.) mostra una perdita peculiare della d- in tocario. Sembra quindi che il latino rōbur rappresenti il protoindoeuropeo *drew- con un ampliamento della b- e non quindi il protoindoeuropeo *h1reudh- “rosso”. La perdita della d- davanti una sonora (*dw- > b-, *-dw- > -w-, *dl- > l-, *dy- > y-) in latino è molto comune, quindi il cambiamento *dr- > r- si collega a questo schema.

Il protolatino *dreubos sarebbe quindi allineato al greco δροόν e all’antico irlandese derb “certo, sicuro”.

La -b- latina corrisponde alla geminazione , segno della Verschaerfung (legge di Holtzmann): gotico triggws, norreno tryggr “leale, degno di fiducia”) causata da una pretonica laringea aggiunta alla radice di base *drew- “albero, legno, quercia”.

Le ghiande non sono commestibili tal quali dall’uomo poiché ricche di tannini e vanno opportunamente trattate. Ci sono tre procedimenti e li trovi tutti sul mio libro, oltre che su i Skogen! Speciale Samhain con il dossier dedicato alle ghiande.

Quando le raccogli, lasciale al sole per un po’ di giorni: sarà ancora più facile aprirle per eliminare il guscio e a seconda della specie anche la pellicina.

La conservabilità delle ghiande è molto bassa poiché sono ricche di oli: puoi quindi conservarle intere, congelate, e procedere alla trasformazione più in là.

Puoi preparare polvere per panificare, o spingerti oltre preparando anche “non-formaggi” come quello che vedi in foto.

Buona sperimentazione!

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