Oggi incontriamo una specie unica: contempliamo una guaritrice che può anche essere fatale, un'amica e nemica al tempo stesso, un'erbaccia tra le più odiate e un meraviglioso fiore di campo dai petali lucidi da sembrare finti.
Il genere Ranunculus è un gruppo molto numeroso che comprende oltre 400 specie al mondo, che hanno origine nelle zone temperate e fredde. Di queste, un centinaio sono spontanee in Italia, e sono divise in tre sezioni in base al colore della loro corolla. Ranunculus ficaria fa parte della prima sezione, Xanthoranunculus, perché ha la corolla gialla.
La pianta ha fusti eretti e un fusto sotterraneo che si presenta sottoforma di piccoli tuberi; foglie a lamina cordata e fiori con petali in numero da otto a undici.
Nella parte superiore dei tuberi ci sono radici secondarie, filiformi, di colore biancastro.
Dato che gli altri Ranunculus hanno 5 sepali e 5 petali, questo è un tratto distintivo fondamentale per il riconoscimento, che ha fatto sì che i botanici lo considerassero addirittura un genere a parte, che per un certo periodo è stato Ficaria (ecco perché ci sono stati periodi in cui la stessa specie si chiamava Ficaria verna).
Poiché la fioritura di questa pianta precede l'arrivo degli insetti, la specie ha sviluppato metodi di riproduzione alternativi: i bulbilli sono gemme o tuberi secondari che vengono prodotti tra la foglia e lo stelo, che cadranno per terra e produrranno nuove piante. Trasportati dagli animali o dall'acqua, consentono una dispersione notevole.
Anton Kerner von Marilaun lo spiega in questo modo: "un improvviso acquazzone in un'area ricoperta di favagello è sufficiente per far galleggiare un certo numero di bulbilli e accumularli ai bordi dei canali di irrigazione quando la pioggia si disperde. In tali luoghi, la quantità di bulbilli galleggianti è impressionante tanto che non si riesce a raccoglierne con le sole mani per quanti sono. E così, gli antichi credevano che il tubero fosse caduto dal cielo con la pioggia, e da qui il mito di una "pioggia di patate". Un pensiero anche divertente, per una pianta i cui doni ispiravano i nostri avi più dei poeti.
E a proposito di poeti, William Wordsworth, uno dei padri del Romanticismo inglese, è ricordato per la sua poesia sui narcisi, ma in realtà il suo fiore preferito era proprio il favagello, per cui scrisse almeno tre poesie:
Long as there's a sun that sets,
Primroses will have their glory;
Long as there are violets,
They will have a place in story:
There's a flower that shall be mine,
'Tis the little Celandine.
Era talmente innamorato del favagello che scrisse anche:
the painter who first tried to picture the raising sun, must have taken the idea of the spreading pointed rays from the Celandine's glittering countenance.
E, segno indelebile, sulla sua lapide è scolpito proprio questo fiore.
Il favagello può essere alto fino a 30 cm, è glabro e lucente e di aspetto cespitoso.
Viene definito geofita bulbosa poiché pianta perenne con gemme sotterranee. Durante l’inverno “scompare” sotto terra e le gemme si trovano nei tuberi, che in questo periodo dell’anno producono nuovi fusti e foglie.
I tuberi ipogei sono fusiformi e possono essere biancastri o marroncino chiaro, larghi 5 mm e lunghi massimo 3 cm.
Il fusto è tubuloso, cavo e molle.
Le foglie sono radicali, con lungo picciolo, carnose. Lucide e scure, variegate di colore più chiaro, hanno da 5 a 9 nervi. Sul nervo centrale si possono trovare macchie più scure.
L’infiorescenza ha fiori terminali e solitari, uno per ogni peduncolo.
Ranunculus deriva dal greco Batrachion “rana” (tramite il latino in cui significa “piccola rana”), perché molte specie nascono in zone umide, all’ombra, nell’habitat degli anfibi.
Ficaria invece deriva dal latino “fico” perché i tuberi sotterranei sono simili a questo falso frutto.
Il nome popolare più diffuso, favagello, deriva dal latino *fabicella, diminutivo di faba “fava”, perché le sue foglie presentano caratteri simili alle foglie di fava.
Gli inglesi lo chiamano lesser celandine: celandine è il nome comune di Chelidonium majus, celidonia (tossica), in questo caso “celidonia minore” perché più piccolo e meno “potente” della celidonia. Celidonia deriva dal greco χελιδόνιος (khelidónios), χελιδών (khelidṓn), “relativo alle rondini”, dalla leggenda atavica per cui mamma rondine versava una goccia di linfa della pianta per far aprire gli occhi dei piccoli, da cui l’usanza - errata e pericolosissima - di usare una goccia di linfa per curare i problemi agli occhi umani.
Tradizione in realtà vuole che avendo fioritura precoce, già a febbraio, coincide con l’arrivo dei primi uccelli in primavera: gli anglosassoni dicevano “fiorisce quando le rondini ritornano e svanisce quando se ne vanno”.
Dall’anglosassone è rimasto anche il nome popolare inglese pilewort, “erba per emorroidi”. Del resto, un guaritore notò la particolarità secondo la dottrina delle segnature: se ne scavi la radice, percepirai l’immagine perfetta della malattia comunemente chiamata emorroidi”.
Sempre i sassoni ci insegnano: era anche un rimedio per problemi di allergia, acne e digestione. Era una cura per il cosiddetto King’s Evil, la scrofola, un’infezione tubercolare alle ghiandole del collo, per cui - narrano gli erbari medioevali - un altro rimedio era il tocco di un re, come Edoardo il Confessore. Un erborista anglosassone credeva così fermamente nel potere del favagello che insisteva “la stessa erba, portata sul proprio corpo, sulla pelle, aiuta a combattere le malattie anche se non tocca la parte malata”. Tipico sassone, tipico altomedioevale.
Spunta adesso, e si raccolgono le foglie giovani che si mangiano in insalata e misticanza, cotte come gli spinaci, aggiunte alle minestre.
Le foglie, tenere e succulente, devono essere raccolte necessariamente prima della fioritura, se consumate crude, per evitare l’aumento in percentuale di un composto tossico. Se no, possono essere cotte o essiccate per rendere il composto innocuo, anche dopo la fioritura.
Si possono raccogliere anche i boccioli, da conservare in salamoia o in aceto per dei “capperi” dal sapore particolare.
Si mangiano anche i tuberi, lessati come le patate, che si possono raccogliere fino a prima che la pianta abbia sviluppato stelo e foglie. I tuberi lessati a lungo erano usati da molti popoli in sostituzione dei legumi.
Tuttavia, bisogna prestare attenzione: tutti i ranuncoli sono tossici. In fitoalimurgia è presente da sempre il consumo per uso alimentare di questa specie, nonostante i ranuncoli, oltre a saponine e tannini, contengano l’anemonina, un alcaloide tossico per uomini e animali (infatti gli erbivori brucano le foglie dei favagelli con difficoltà e solitamente dopo che sono essiccate perché le sostanze pericolose sono “evaporate”). Anche le api bottinano il nettare dei ranuncoli con difficoltà.
Attenzione anche nella raccolta, poiché la linfa del favagello contiene sostanze che provocano dermatite e vesciche, ma soprattutto vere e proprie “ustioni” alle mucose.
Il favagello è stato anche sempre usato in fitoterapia popolare: ha proprietà rubefacenti (richiama il sangue in superficie, alleggerendo la pressione interna), vescicatorie (proprietà dei bulbilli) e revulsive (tramite applicazioni sul derma). Si usava per le emorroidi e le ulcere e i tuberi come astringente.